giovedì 12 giugno 2008

Io nacqui

Era l’anno dei Mondiali quelli del settantaquattro... era giugno, il dodici. Erano da poco passate le cinque del mattino quando emisi il mio primo vagito.

Dopo nove mesi di buio... finalmente la luce, il sole, la vita. Il Policlinico Umberto I, un ginecologo isterico che si era dovuto alzare presto per assistere alla mia lodevole venuta al mondo e, di non secondaria importanza, un simpatico infermiere che con parole graziose informò la mamma circa il mio sesso.

Il papà, gioioso, offrì la colazione a tutti i colleghi (aveva scommesso che fossi un maschio), la mamma si sottopose alla divertente pratica di ricucitura senza anestesia.

Indubbiamente i miei mi amarono da subito!

La venuta al mondo non fu poi così brutta, soprattutto perché non ne ho memoria, ma dai racconti dei miei cari, so per certo che fui una bimba da subito amante della vita.
Il silenzio, ad esempio, mi lasciava molto perplessa, motivo per il quale rallegravo le nottate dei vicini con urla festose. I miei piccoli polmoni, desiderosi di espandersi, si esercitavano preferibilmente fra le due e le cinque del mattino, quando, stanca, mi concedevo qualche ora di sonno.

La mamma e il papà mai mi nascosero quanto amore provassero per me in quel periodo. Gliene sono infinitamente grata.

Li ringrazio, inoltre, per avermi cullato, per avermi raccolto il ciuccio ogni volta lo sputavo come una palla di cannone lontano dal mio lettino, per avermi permesso di invadere il lettone e nuotarci dentro alle tre del mattino, ma, soprattutto, per non aver ritardato la mia crescita raccontandomi storie del tipo: “Se non dormi arriva l’uomo nero che ti porta via!”

In effetti l’uomo nero, sebbene segretamente credo che i miei a volte ci sperassero, non mi portò da nessuna parte.

Crescevo felice e rubiconda nella mia casa con mamma, babbo e nonni materni al seguito.

“Assomiglia tutta al papà!” Dicevano i nostri amici. Che cari. Il mio papà iniziava a mostrare un accenno di calvizie, portava barba e baffi, vantava un naso aquilino da far invidia a Dante e, di non secondaria importanza, mostrava con soddisfazione al mondo due orecchie a sventola impressionanti.
Ora, prima che il caro genitore mi uccida, c’è da sottolineare che queste caratteristiche a lui donano, da sempre, un fascino tutto particolare, ma, riguardo alla sottoscritta, ho una certa non ingiustificata perplessità. Pazienza.

Gli anni passavano.
Io mostravo di essere in un periodo assai galvanizzante. Potevo mangiare quando volevo, potevo piangere di notte, potevo urlare, potevo fare i capricci, potevo smontare ogni oggetto di valore presente ad altezza bimbetta e, sommo gaudio, potevo imporre la mia ferrea volontà.

In compenso, posso affermare con soddisfazione di essere stata una creatura assai sensibile ed educata. Fuori dalle mura domestiche assomigliavo al Mosè del Michelangelo. “Perché non parli!” Gridavano tutti. Ma io sentivo forte la responsabilità del mio ruolo. Quindi, a mo’ di pianta, stavo ferma e muta. Il massimo della mia comunicazione erano due calci assestati con cura sugli stinchi dei miei, che significavano: “Sono stanca. A casa, svelti!”

A dire il vero la mia scarsa padronanza della lingua italiana, ottenuta frequentando i compaesani assisani dei miei nonni, influiva notevolmente sulla mia timidezza.
Forse sentire le persone ridere ogni volta esprimevo un concetto, non influiva positivamente sulla mia autostima.
Insensibili!

Fortunatamente ero presa da ben altri pensieri in questi primi anni di vita.
Il principale era riuscire a vedere i cartoni animati dalle 14:00 alle 20:00. In effetti potrebbe sembrare un tempo esagerato e non faccio fatica ad immaginare i volti perplessi di psicologi dell’età infantile e pedagoghi, ma posso affermare con coscienza di non aver mai mostrato, negli anni a seguire, turbe psichiche rilevanti (ho detto rilevanti!).
Il fatto che qualche amico mi dica sovente: “Sei una pazza!”, credo non faccia testo.

Al contrario, i cartoni animati di quegli anni, soprattutto quelli giapponesi, mi insegnarono molto.
Imparai che tutti i bambini nascono orfani e, nel caso non lo siano, i genitori provvedono a morire di lì a breve. Tutti i bambini sono buoni e hanno radicati degli alti valori. Purtroppo, però, se gli zii non sono abbastanza perfidi, sicuramente un alieno demente vorrà conquistare la sua città.

Gridavo: “Pugno perforante” o anche: “Raggi fotonici” correndo per tutta casa e infilzando i miei peluche. Nei miei anni migliori strisciavo a terra con tanto di pistola in mano e, fingendomi una vera dura, massacravo criminali, alieni, animali selvaggi, mostri, zombi.
Insomma, crescevo bene.

Quand'è che poi mi sono rovinata?

marzia.elle

8 commenti:

Adriano F. ha detto...

'anvedi, auguri.

Federica ha detto...

Auguriiiii!!!!

le vecchie ciabatte ha detto...

Grazie ragazzi cari, grazie!

marzia.elle

Anonimo ha detto...

Auguri tesorina!

Rovinata? Rovinata dove? Cosa? Quando?
Ma che stai a di'?
:-P

Anonimo ha detto...

auguriiiii!!!!!
sei nata lo stesso giorno del polpetta! sei una gemellina anche tu come noi (io sono nata il 13 giugno, cioè domani). che bello!
spero tu abbia trascorso una bella giornata oggi.
ancora tanti auguri, marziolina

le vecchie ciabatte ha detto...

Grazie Massi! Tesorino!

E grazie Kat e AUGURI!!!

marzia.elle

Anonimo ha detto...

Tanti auguri!
Si, sono un rincoglionito ho capito che era il tuo compleanno solo dopo aver letto il commento di Adriano...

A dire la verità ero distratto dal post, mentre lo leggevo avevo le lacrime agli occhi.
Hai una vena sarcastica non male e acida al punto giusto.

Non te sei rovinata, da quel che leggo la bimba che strisciava a terra pistola in mano massacrando alieni, mostri e zombi è ancora lì da qualche parte... ed ogni tanto fa capolino... :-)

le vecchie ciabatte ha detto...

Grazie Ste'!

marzia.elle