mercoledì 5 settembre 2007

8 settembre '43: Armistizio

Sempre, a settembre, mi prende un po' di tristezza.
Tanti anni fa, nel '91, a settembre, persi il mio adorato nonno.
Se lo portò via la Seconda Guerra Mondiale.
Che è vero, nei libri si dice che finì nel '45, ma noi che siamo persone di mondo, lo sappiamo che poi servono almeno due generazioni per mettere la parola fine a certe disgrazie. Perché via, tre anni di prigionia in un campo di lavoro tedesco non è che sono l'equivalente di un giro alle terme.
Nonno è stato un eroe. Non di quelli con le medaglie sul petto. Figurarsi. No.
Nonno è stato un eroe perché non ha mai smesso di essere "uomo", anche quando, in verità, ne aveva tutto il diritto.
Nonno aveva pietà, aveva amore. La sofferenza l'aveva reso buono come io non sarò mai.
Quando mi raccontava la sua guerra, a volte (poche volte) piangevo, altre (troppe volte) odiavo.
Odiavo quei tedeschi che lo picchiavano, che lo chiamavano traditore sputandogli in faccia, che lo trascinavano (malgrado la sua giovinezza, la sua forza, il suo ottimismo) verso la morte.
"Nelle SS c'erano dei gran bastardi, è vero, - mi diceva con quel suo sorriso pieno di vita - ma la maggiorparte delle persone che ho incontrato erano solo dei disgraziati come me!"
Non potevo starci.
"Ma come nonno? Che dici?"
Nella guerra ci sono i buoni e ci sono i cattivi. Me lo avevano insegnato.
Era così dalla notte dei tempi.
Allora alzava le spalle con fare disarmante e sorrideva. Sorrideva sempre.
E mi raccontava di quella signora che gli aveva dato il pane togliendolo ai figli. Dell'abbraccio con il "padrone" nel campo di lavoro. Di quella guardia che sparò all'aria piuttosto che alle sue spalle, e lo lasciò fuggire.
"I buoni e i cattivi stanno ovunque. - diceva - In guerra ci stanno solo i disgraziati!"
Ma allora non capivo.
Non avevo letto "Sant'Ambrogio" di Giusti e nemmeno "Le mie Prigioni" di Pellico. Ero solo un po' incazzata, come a volte capita agli adolescenti.
Vedevo mio nonno, bello nella sua uniforme, far strage di nemici.
Primo sul fronte. Un po' come Achille sotto le mura di Troia.
E lui rideva. Non so, magari provava anche un po' di pena. Che ne sapevo io del fronte?!
"Tutti i miei amici partiti per il fronte sono morti. Io non volevo morire. Meglio i campi di lavoro. Meglio i boschi."
Mio nonno non era un eroe di quelli con le medaglie.
Si è preso gli sputi, le botte, le parolacce.
"Tutto! - diceva - Meglio la fame del fronte. Meglio morire scappando che la guerra in trincea a spararsi fra poveracci."
Allora, a volte, mi è capitato di pensarlo: "Nonno, ma tu eri un vigliacco? Non eri un eroe?"
"Gli eroi muiono..." Rispondeva allegro.
Anche se non c'era nulla da essere allegri, ma nonno era così. Aveva visto l'inferno, tutto il resto gli sembrava il paradiso!
Era facile per lui.
Pero' un giorno, un giorno più degli altri, era stato eroe. Eroe nel senso classico del termine.
Strano, non ne era granché fiero, sebbene gli facessi raccontare quel giorno fino alle svenimento.
Per anni ho pensato che fosse stato il giorno della sua consacrazione fra i grandi della terra. L'ho pensato fino al 29 settembre del 1991. Il giorno in cui l'ho visto morire. Semplicemente, con dignità e con quel sorriso stampato in volto che voleva dire: "Mi stai per prendere, lo so, ma t'ho fottuto lo stesso!"

Mio nonno è stato un eroe.
E' stato un eroe per me e per tutte le persone che con lui hanno condiviso sorrisi e pianti e, suo malgrado, è stato anche un eroe per questa patria.
Lo è stato il 9 settembre del 1943.
Il giorno dopo l'Armistizio.
"E' finita la guerra!" Gridavano per le strade.
Ahimé, ne cominciava una nuova!
Nonno era a Piacenza, con il suo plotone (faceva un po' il cuoco, un po' l'artigliere).
Divideva la stanza con un soldato tedesco.
La sera avevano fumato assieme.
Non si capivano tanto bene, ma insomma, a modo loro, si sentivano fratelli.
La mattina dopo, era il 9 settembre, mio nonno si svegliò e non aveva più il fucile.
Lo avevano disarmato.
Avevano disarmato tutti gli italiani.
Perché i tedeschi sapevano dell'Armistizio, gli italiani no.
Che è un po' come il marito cornuto che è sempre l'ultimo a sapere.
E poveracci, non capivano.
La sera prima fumavano assieme, ora gli puntavano una canna di fucile contro.
Tutti gli italiani (graduati e non) furono inquadrati nella piazza.
Pioveva forte.
Li lasciarono lì in piedi per dodici ore.
Senza mangiare, senza bere. Sull'attenti.
Se cascavi, ti sparavano.
Ogni tanto li passavano in rassegna. Arrivavano, strappavano le mostrine gridando: "Italian traditor!" E sputavano sulle divise.
E loro niente. Non sapevano niente.
L'esercito italiano era durato una notte.
La sera passò un ufficiale tedesco.
Fece un lungo discorso sull'Italia, non c'era bisogno di traduzione.
Poi, prese un foglio e iniziò a leggere. Dietro, un soldato che ripeteva in italiano.
E' vero, erano italiani e facevano schifo, ma via, per il fronte andavano bene.
Se lì, subito, avessero giurato fedeltà al Terzo Reich, beh, avrebbero dimenticato quella loro vergognosa nascita. Li avrebbero vestiti con la divisa tedesca e mandati in guerra. Con onore.
L'ufficiale tedesco si schiarì la voce e in traballante italiano gridò: "Giurate voi?"
Ma quel giorno gli italiani di Piacenza si erano svegliati eroi e così, senza pensare, risposero in coro: "NO!"
E quel no era proprio una cannonata.
"Ma nonno? - chiedevo sebbene conoscessi la risposta - Così morivi..."
Nonno è stato un eroe più di quanto pensasse, perché a quella domanda gli brillavano gli occhi e rispondeva: "Non avrei mai rinnegato la patria
! Io sono italiano!"
E lo diceva con orgoglio.
Quando io dico: "Sono italiana..." Non ho nel cuore quello che aveva lui.
In verità non dico mai nemmeno patria.
Oggi non si usa.
Anzi, fa anche brutto.
Per carità, a me piace l'Europa. Piace la Terra e mi sento molto cittadina dell'Universo, però, a volte, mi piacerebbe dire patria. Mi piacerebbe dire Italia e non per dividere, ma per ricordare.
E forse, a volte, dovremmo avere anche il coraggio di dire: "NO!"

marzia.elle

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Leggere questo scritto mi ha commosso.
Mi ha commosso per diversi motivi.
Io non ho più i nonni e, anche rovistando nella memoria, non riesco a trovare ricordi così forti e ricostruire momenti così belli di legame.
Anche mio nonno (l'unico che ho conosciuto dell'altro non so) è stato prigioniero in Germania ma non mi ha mai raccontato nulla.
Forse ero troppo piccolo o forse non aveva voglia di raccontare, comunque sia andata sono momenti persi e dispiace un pò non avere questi ricordi.
Come non rimanare toccati poi da un racconto che così bene riesce a rendere l'atmosfera della guerra, la guerra con le sue meschinità ed i suoi momenti di forte umanità.
Chissà forse in guerra tutti i sentimenti sono esasperati, una cosa è certa le guerre non possono che essere SEMPRE sbagliate perché annientano il concetto stesso di umanità.

"Anonimo Vicino"

Anonimo ha detto...

Ringrazio questo blog per avermi fatto venire voglia di scrivere, credevo di non esserne più capace.
Leggere quanto scritto mi suscita anche un pò di invidia e mi fa apprezzare quanto bello sia leggere e ricordare.
Dubito che potrò mai scrivere una frase come "Vedevo mio nonno, bello nella sua uniforme, far strage di nemici. Primo sul fronte. Un po' come Achille sotto le mura di Troia."
Complimenti

"Anonimo Vicino"

le vecchie ciabatte ha detto...

Mio caro Anonimo Vicino... grazie a te!
Tu che sopporti le mie paranoie leopardiane, che subisci la lettura di una poesia al giorno solo per non darmi un dispiacere, che sorridi alle mie battute caustiche, che mostri fiero il "sì" affermazione con l'accento...
Tu che, infine, scrivi e mi fai commuovere...
Ecco... conciata così, con le lacrime agli occhi, non sarò più credibile...

marzia.elle